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Il presepe, il rosario e la croce

11-07-2019 13:17 - Redazione DA
Il Canada si conferma come la Nazione maggiormente attenta al secolarismo.
La secolarizzazione e il secolarismo, a ben vedere non significano la stessa cosa.
La secolarizzazione è intesa come una moderata forma di autonomia dell’individuo che però mantiene la dipendenza dal suo dio.
Il secolarismo, invece, per le caste sacerdotali è come il drappo rosso davanti al toro, è l’autonomia dell’individuo dal potere religioso, è l’indipendenza del pensiero, è l’autodeterminazione e l’autoidentificazione.
La secolarizzazione accetta negli spazi pubblici il simbolismo religioso, con l’esibizione di burqa e rosari, di kippah e turbanti sikh, perché la massificazione intesa come spersonalizzazione, deve pur consegnare al gruppo un vessillo di appartenenza.
Il secolarismo, invece, non accetta l’invadenza di una simbologia negli spazi condivisi, e relega il fenomeno religioso esclusivamente alla sola sfera privata.
Secolarizzazione e secolarismo costituiscono significanti che riconducono a significati ideologicamente contrapposti.
La secolarizzazione è generalmente accettata, mentre il secolarismo è avversato dal potere religioso perché lo disvela nella sua propaggine antiumanitaria.
Dunque non è una semplice questione terminologica.
In Italia la contrapposizione si è dipanata non tanto tra secolarizzazione e secolarismo, quanto tra laicità e laicismo.
La laicità è accettata dal potere religioso nella misura in cui riconosce il primato morale dei suoi referenti sacerdotali e primo tra questi, il papa.
Il laicismo invece, è un termine che viene utilizzato generalmente con accezione negativa, non solo dal clero che ovviamente specula sul bisogno, ma anche dalle forze politiche che sentono la necessità di avere la legittimazione del potere sacerdotale per essere accettate dalle masse.
Il Quebec, la provincia del nord-est del Canada, ha approvato una legge che vieta di indossare simboli religiosi ai dipendenti del settore pubblico durante le ore lavorative.
Le proteste da parte dei rappresentanti religiosi non si sono fatte attendere.
Un rappresentante mondiale dei Sikh ha vivacemente protestato sostenendo che loro non possono fare a meno del loro turbante.
I musulmani sono scesi sul piede di guerra perché non possono più imporre il velo alle loro donne.
Anche la comunità ebraica ha preannunciato azioni legali.
I rappresentanti dei cattolici hanno prefigurato scenari apocalittici sul dissolvimento della società.
Il Quebec è la provincia che più di altre ha arginato le ingerenze religiose.
Avendo negato alla sfera pubblica qualsiasi ingerenza religiosa, vede una affermazione femminile piuttosto qualificata, e vanta una legislazione salariale che equipara gli stipendi tra uomini e donne, sin dal 1951.
Le due questioni non sono scisse, anzi, sono l’una conseguenza dell’altra.
Nelle aree dove si afferma la difesa della identità religiosa attraverso la prevaricazione dei suoi simboli imposti negli spazi pubblici anche a chi non li condivide, la condizione femminile sconta una arretratezza sia in termini di emancipazione che economici.
Dove invece la religione, e con essa il suo simbolismo, resta confinato alla sola sfera privata, le donne hanno un autentico rapporto paritario.
In Quebec nella mentalità prevalente, l’emancipazione femminile è fondata sull’autonomia economica.
In Italia nella mentalità prevalente, le donne che disattendono gli ordini maschili devono essere ricondotte all’obbedienza attraverso lo stupro, e il simbolismo pubblico si fonda sul presepe, sul rosario e sulla croce.
Carla Corsetti
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