Il profitto o la vita
18-04-2020 22:51 - Redazione DA
Democrazia Atea intervista Massimo, lavoratore Tenaris Dalmine, quanto accade in tanti stabilimenti non può passare inosservato.
A coloro che lottano tutti i giorni in luoghi dove la morte si aggira indisturbata, a coloro che non sono riusciti a sconfiggerla, contro chi lucra sulla nostra pelle.
Pubblichiamo la nostra intervista a Massimo lavoratore Tenaris, ringraziandolo per la disponibilità e ribadendo il nostro sostegno per questa denuncia
IL PROFITTO O LA VITA
I grandi processi dell’impunità, quelli delle stragi operaie, dalla Breda a Eternit, a Fibronit a Pirelli, a Enel Turbigo, insegnano che il sistema padronale ha una forte organizzazione che lo sostiene, ovvero Confindustria.
Il passato non è mai troppo lontano e si ripete identico nel presente quando il profitto, con prepotenza, svela quale sia la sua vera essenza: affermarsi calpestando il diritto alla salute di chi lavora e non ha alternative.
Le grandi aziende, i grandi gruppi lombardi non hanno mai nascosto di voler continuare a produrre nonostante le richieste di fermo durante questi mesi di pestilenza, ricorrendo a tutti i mezzi, gravemente collusi con i soliti sindacati asserviti e relegati ad un ruolo non più di sola intermediazione, ma anche di concessione, silenziati anche quando è stato favorito il ricorso aziendale all'utilizzo di lavoratori "volontari" in reparti non essenziali, lavoratori facilmente ricattabili perché assunti con contratti a termine o perché neo assunti.
Operai come carne da macello, operai che muoiono per il lavoro, schiacciati dall'eterno dilemma: morire per lavorare o vivere senza lavoro.
Quando Massimo Seghezzi, che lavora alla Dalmine da quasi vent’anni come operaio, inizia a raccontare l'escalation con le date di quanto accaduto all'acciaieria Tenaris Dalmine, la sensazione è quella di un il dejà vu, sul quale cala un silenzio assordante nel tentativo di trovare una via d’uscita nelle nostre menti.
La Tenaris Dalmine si estende come una città, impossibile non notarla se si percorre la A4 Milano - Venezia, è impossibile non notare il suo profilo mastodontico.
Sono 1200 le persone che si muovono al suo interno, sempre, in ogni momento, lo stabilimento non si ferma.
A fine febbraio iniziano ad arrivare le informazioni su una possibile epidemia, ma le misure di sicurezza non vengono attuate, si continua a lavorare.
Chiediamo a Massimo: "l'azienda fino alla metà di marzo, pur rimanendo aperta a ciclo continuo, ha adottato misure di protezione?”
“No” ci risponde “nonostante i continui incontri con varie Rsu, le misure adottate si sono rivelate insufficienti: qualche pezzo di sapone in più su lavandini sporchi con soluzioni di acqua e alcool, nessun tipo di mascherina e distanze di sicurezza inesistenti. La stessa mensa, uno dei luoghi più facili al contagio, aveva una blanda indicazione di distanza a scacchiera, ma si toccava lo stesso piano di appoggio, toccato da altri prima, seduti magari nello stesso posto... senza nessuna pulizia a ciclo continuo”.
"Dopo il 17 marzo cosa è accaduto?"
“Si è continuato a lavorare, seppure a regime ridotto, con una minoranza di lavoratori. Il 25 marzo muore il primo operaio Salvatore Occhineri, altri colleghi vengono ricoverati in terapia intensiva, molti sono a casa ammalati ma si va avanti. L' azienda non si ferma, le turnazioni sono continue, con chi ha contratti a termine. Si arriva poi al 4 aprile dove muore un altro operaio Sergio Bertino, il contagio prosegue e l'azienda imperterrita comunica di aver perso denaro...”
Massimo Seghezzi è attivista Cub, e assieme ad un gruppo di colleghi, ha fatto pressioni per fermare la produzione non necessaria fino al 20 aprile.
"Il giorno 20 è vicino, pensi che un minimo di sicurezza in più possa essere attuata dopo tutto questo?”
“Sarà, la paura e il terrore di tornare è tanta, vedremo cosa troveremo. Gli spogliatoi oltre al luogo di lavoro, sono veicoli di contagio altissimo. Se non verranno attuate le distanze e le turnazioni corrette, dovremo fare sciopero fino ai 1° maggio”.
Massimo racconta ancora della paura di infettare i propri cari alla fine del turno, realtà con cui si deve convivere, cui si aggiunge la paura della morte che circola nei reparti.
A pochi giorni dal rientro, fra i lavoratori serpeggia un solo pensiero: come fare a sottrarsi, come trovare una via d'uscita, ma non c’è risposta perché se vince la logica del profitto, salvarsi sarà solo questione di fortuna.