IL DIRITTO ALLA BLASFEMIA
22-10-2022 21:54 - Redazione DA
Le confessioni religiose sono generalmente molto sensibili alle critiche, proprio per l’impossibilità di sostenere la validità delle loro affermazioni sul piano razionale.
L’incapacità di porsi su un piano di confronto e di accettazione del contraddittorio ha sempre portato la religione cattolica ad imbavagliare la libertà di espressione.
Nel 2006 è stato riformulato l’articolo 403 del codice penale: “Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone. – Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. Si applica la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di un ministro del culto.”
Per il principio di uguaglianza e considerando che le associazioni di atei sono equiparabili alle associazioni religiose, sul piano dei diritti umani, si dovrebbe intendere che chi pubblicamente offende l’ateismo mediante vilipendio di chi si dichiarata tale, deve soggiacere alle stesse pene.
In realtà l’articolo penale in questione ha rilievo per DA non per l’equiparazione dei diritti tra atei e religiosi, ma per la grave limitazione che determina in contrasto con l’articolo 10 della Convenzione sui diritti umani.
Per quanto si sia assistito, nelle formulazioni del reato, ad una progressiva attenuazione delle prescrizioni precettive nonché delle sanzioni, è ancora diffusa una mentalità che inibisce la libertà di espressione quando si parla di culti e di religioni.
La Raccomandazione 1805 (2007) dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, in relazione a blasfemia, insulti religiosi e discorsi di odio contro le persone a motivo della loro religione, ha stabilito che “La libertà di espressione è applicabile non solo alle espressioni che vengono accolte con favore o considerate come inoffensive, ma anche a quelle che possono scioccare, offendere o disturbare lo stato o qualsiasi settore della popolazione”.
Nella stessa Raccomandazione si legge: “L’Assemblea ritiene che la bestemmia, come un insulto alla religione, non dovrebbe essere considerata un reato penale.”
L’art.403 del codice penale italiano costituisce ancora un ostacolo alla piena attuazione del rispetto dei diritti umani ed, in particolare, del diritto alla libera espressione e alla critica.
Rivendicare il diritto alla blasfemia non significa avere la libertà di offendere gratuitamente i sentimenti altrui, ma significa attuare pienamente l’articolo 10 della Convenzione sui diritti umani, perchè la libertà di espressione non accetta le limitazioni imposte dalle credenze religiose, e non è un caso che proprio i Paesi dove si soffre maggiormente la libertà di critica e di opinione, come la Russia e la Cina, hanno ottenuto dall’ONU l’adozione di risoluzioni anti-blasfemia.
L’incapacità di porsi su un piano di confronto e di accettazione del contraddittorio ha sempre portato la religione cattolica ad imbavagliare la libertà di espressione.
Nel 2006 è stato riformulato l’articolo 403 del codice penale: “Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone. – Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000. Si applica la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di un ministro del culto.”
Per il principio di uguaglianza e considerando che le associazioni di atei sono equiparabili alle associazioni religiose, sul piano dei diritti umani, si dovrebbe intendere che chi pubblicamente offende l’ateismo mediante vilipendio di chi si dichiarata tale, deve soggiacere alle stesse pene.
In realtà l’articolo penale in questione ha rilievo per DA non per l’equiparazione dei diritti tra atei e religiosi, ma per la grave limitazione che determina in contrasto con l’articolo 10 della Convenzione sui diritti umani.
Per quanto si sia assistito, nelle formulazioni del reato, ad una progressiva attenuazione delle prescrizioni precettive nonché delle sanzioni, è ancora diffusa una mentalità che inibisce la libertà di espressione quando si parla di culti e di religioni.
La Raccomandazione 1805 (2007) dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, in relazione a blasfemia, insulti religiosi e discorsi di odio contro le persone a motivo della loro religione, ha stabilito che “La libertà di espressione è applicabile non solo alle espressioni che vengono accolte con favore o considerate come inoffensive, ma anche a quelle che possono scioccare, offendere o disturbare lo stato o qualsiasi settore della popolazione”.
Nella stessa Raccomandazione si legge: “L’Assemblea ritiene che la bestemmia, come un insulto alla religione, non dovrebbe essere considerata un reato penale.”
L’art.403 del codice penale italiano costituisce ancora un ostacolo alla piena attuazione del rispetto dei diritti umani ed, in particolare, del diritto alla libera espressione e alla critica.
Rivendicare il diritto alla blasfemia non significa avere la libertà di offendere gratuitamente i sentimenti altrui, ma significa attuare pienamente l’articolo 10 della Convenzione sui diritti umani, perchè la libertà di espressione non accetta le limitazioni imposte dalle credenze religiose, e non è un caso che proprio i Paesi dove si soffre maggiormente la libertà di critica e di opinione, come la Russia e la Cina, hanno ottenuto dall’ONU l’adozione di risoluzioni anti-blasfemia.