OVVIETÀ CONSOLATORIE
26-03-2022 15:45 - Redazione DA
Cogliere i significati sottesi alle dichiarazioni ufficiali non è semplice, soprattutto se si ha una mente strutturata alla deferenza patriarcale.
Ora che Bergoglio ha espresso pubblicamente la propria indignazione per l'aumento delle spese militari, la corsa all'elogio è stata quasi unanime.
Quasi.
Una dichiarazione così esplicita in realtà sottende altre decisioni.
Bergoglio ha fatto un passo indietro quando ha visto che la sua offerta di mediazione è stata ignorata dal suo omologo Kirill il quale si candida ad essere il riferimento dell'altra parte del mondo cristiano e che in questa partita non vuole l'intromissione dell'omologo cristiano occidentale.
Preso atto che la guerra in atto ha irreversibilmente decretato la sua estromissione come mediatore, si è ripreso la scena con una delle sue solite ovvietà, di quelle che esaltano le serve e i servi di sempre, ma che adescano anche chi, in questo frangente, ha talmente paura dell'epilogo nucleare, che abbraccerebbe anche un porcospino pur di placare legittime ansie.
Anche un porcospino, appunto.
Occorre tuttavia approfondire il perché la frase di Bergoglio, come sempre del resto, è farlocca e ad uso strumentale all'audience.
Innanzitutto la spesa militare approvata dal Parlamento italiano risponde ad un automatismo progressivo deciso qualche anno fa rispetto al quale Bergoglio negli anni passati nulla aveva detto, anzi, da qualche inchiesta è emersa finanche la partecipazione dei capitali della sua banca in operazioni finanziarie collaterali al commercio di armi.
Sotto un profilo teologico le indicazioni che il suo Stato impartisce attraverso il catechismo, sono quelle della cosiddetta guerra "giusta" ovvero i casi in cui l’uso della violenza è moralmente giustificato. Secondo il catechismo della Chiesa cattolica i parametri per poter intraprendere una guerra che sia “giusta” sono quattro: il danno inflitto dall’aggressore deve essere duraturo, grave e certo; tutte le altre soluzioni alternative alla guerra devono essersi rivelate inefficaci o impraticabili; deve esistere una consistente probabilità di successo; l’uso della violenza non deve produrre danni più gravi di quelli provocati dall’aggressore.
Già dai tempi della guerra in Siria Bergoglio "pontificava" contro la teoria della "guerra giusta" ma non ha mai fatto nulla per modificare la catechesi, e da gesuita, ha continuato a dire il contrario di ciò che si fa nella sua Monarchia.
A conferma della doppiezza tra ciò che fa credere alle masse e la politica che realmente si persegue in Vaticano, occorre generalmente vedere ciò che dice, piuttosto, il Segretario di Stato.
Orbene, Parolin circa una settimana fa ha detto: «Il diritto a difendere la propria vita, il proprio popolo e il proprio Paese comporta talvolta anche il triste ricorso alle armi».
Punto.
Tornando a Bergoglio e alla sua invettiva, tardiva, contro le armi, resta il grave problema di sempre: le sue banalità sono percepite dalla popolazione come indicazioni rilevanti e si ignora la cornice teologica e gravemente lesiva della sovranità del nostro Stato, e dell'autodeterminazione dei suoi cittadini, nella quale queste banalità si incuneano.
Resta il fatto che non si può essere intermittenti contro di lui e la sua politica.
Lo si può essere, con onestà intellettuale, verso un avversario politico, verso una persona politicamente distante, cui si deve dare atto di una temporanea ed occasionale convergenza.
Ma questo atteggiamento non può valere contro un Capo di Stato teocratico rispetto ad una banalità buttata nel mucchio per riconquistare audience, perché se effettivamente avesse adottato una posizione politica reale e conseguente, avrebbe anche modificato le direttive della catechesi sulla guerra, e non lo ha fatto.
Prenderemo atto della sua reale opposizione alle armi e alla guerra solo il giorno in cui ritirerà tutti i cappellani militari da tutte le caserme d'Italia con rinuncia alla pensione militare da parte di tutto il clero "in armi".
Altrimenti le sue ovvietà saranno pure consolatorie per taluni, ma resteranno una farloccata per chi, da sempre, non si lascia abbindolare.
Ora che Bergoglio ha espresso pubblicamente la propria indignazione per l'aumento delle spese militari, la corsa all'elogio è stata quasi unanime.
Quasi.
Una dichiarazione così esplicita in realtà sottende altre decisioni.
Bergoglio ha fatto un passo indietro quando ha visto che la sua offerta di mediazione è stata ignorata dal suo omologo Kirill il quale si candida ad essere il riferimento dell'altra parte del mondo cristiano e che in questa partita non vuole l'intromissione dell'omologo cristiano occidentale.
Preso atto che la guerra in atto ha irreversibilmente decretato la sua estromissione come mediatore, si è ripreso la scena con una delle sue solite ovvietà, di quelle che esaltano le serve e i servi di sempre, ma che adescano anche chi, in questo frangente, ha talmente paura dell'epilogo nucleare, che abbraccerebbe anche un porcospino pur di placare legittime ansie.
Anche un porcospino, appunto.
Occorre tuttavia approfondire il perché la frase di Bergoglio, come sempre del resto, è farlocca e ad uso strumentale all'audience.
Innanzitutto la spesa militare approvata dal Parlamento italiano risponde ad un automatismo progressivo deciso qualche anno fa rispetto al quale Bergoglio negli anni passati nulla aveva detto, anzi, da qualche inchiesta è emersa finanche la partecipazione dei capitali della sua banca in operazioni finanziarie collaterali al commercio di armi.
Sotto un profilo teologico le indicazioni che il suo Stato impartisce attraverso il catechismo, sono quelle della cosiddetta guerra "giusta" ovvero i casi in cui l’uso della violenza è moralmente giustificato. Secondo il catechismo della Chiesa cattolica i parametri per poter intraprendere una guerra che sia “giusta” sono quattro: il danno inflitto dall’aggressore deve essere duraturo, grave e certo; tutte le altre soluzioni alternative alla guerra devono essersi rivelate inefficaci o impraticabili; deve esistere una consistente probabilità di successo; l’uso della violenza non deve produrre danni più gravi di quelli provocati dall’aggressore.
Già dai tempi della guerra in Siria Bergoglio "pontificava" contro la teoria della "guerra giusta" ma non ha mai fatto nulla per modificare la catechesi, e da gesuita, ha continuato a dire il contrario di ciò che si fa nella sua Monarchia.
A conferma della doppiezza tra ciò che fa credere alle masse e la politica che realmente si persegue in Vaticano, occorre generalmente vedere ciò che dice, piuttosto, il Segretario di Stato.
Orbene, Parolin circa una settimana fa ha detto: «Il diritto a difendere la propria vita, il proprio popolo e il proprio Paese comporta talvolta anche il triste ricorso alle armi».
Punto.
Tornando a Bergoglio e alla sua invettiva, tardiva, contro le armi, resta il grave problema di sempre: le sue banalità sono percepite dalla popolazione come indicazioni rilevanti e si ignora la cornice teologica e gravemente lesiva della sovranità del nostro Stato, e dell'autodeterminazione dei suoi cittadini, nella quale queste banalità si incuneano.
Resta il fatto che non si può essere intermittenti contro di lui e la sua politica.
Lo si può essere, con onestà intellettuale, verso un avversario politico, verso una persona politicamente distante, cui si deve dare atto di una temporanea ed occasionale convergenza.
Ma questo atteggiamento non può valere contro un Capo di Stato teocratico rispetto ad una banalità buttata nel mucchio per riconquistare audience, perché se effettivamente avesse adottato una posizione politica reale e conseguente, avrebbe anche modificato le direttive della catechesi sulla guerra, e non lo ha fatto.
Prenderemo atto della sua reale opposizione alle armi e alla guerra solo il giorno in cui ritirerà tutti i cappellani militari da tutte le caserme d'Italia con rinuncia alla pensione militare da parte di tutto il clero "in armi".
Altrimenti le sue ovvietà saranno pure consolatorie per taluni, ma resteranno una farloccata per chi, da sempre, non si lascia abbindolare.