25 APRILE
25-04-2023 08:39 - Segreteria DA
Sono molte, troppe, le persone che si chiedono cosa significhi oggi il 25 Aprile.
Il significato storico è quello che dà risposta al bisogno di certezze, nella coscienza di essere parte di una società improntata ai valori del Patto Fondativo Antifascista, ma anche nella adesione alla necessità di difendere quel Patto dagli attacchi, mai sopiti e mai risolti, di chi, per demolire i valori antifascisti, percorre la strada del revisionismo nel vigliacco tentativo di riscrivere la storia che è servita per affermarli.
Il revisionismo negazionista è sempre stato uno degli aspetti più subdoli utilizzati dai post-fascisti, per legittimare la loro esistenza, mentre la loro costante è sempre stata la violenza, verbale, fisica e istituzionale.
1830 inermi trucidati a Marzabotto, 580 inermi trucidati a Sant’Anna di Stazzema, 335 inermi trucidati nelle Fosse Ardeatine, l’omicidio di Giacomo Matteotti, sono la sintesi di vent’anni di dittatura che i post-fascisti oggi vogliono relegare ad un passato lontano, perché il fine sotteso è quello di proclamare una parificazione mascherata da pacificazione.
Il significato del 25 Aprile va ben oltre la ricorrenza storica, intesa come mera celebrazione di un evento passato, e proprio perché i post-fascisti non hanno mai ammesso di essere eredi di una dittatura criminale, questa ricorrenza ancora oggi è necessaria per ricordare che loro erano l’abominio.
Eppure la tendenza a contingentare il 25 Aprile in un alveo esclusivamente storico e celebrativo è stata da sempre la declinazione dell’antifascismo di facciata, dell’antifascismo di coloro che maggiormente lo hanno tradito fingendo di esserne paladini.
Dichiararsi antifascisti e poi demolire gli articoli della Costituzione sul lavoro e la tutela dei lavoratori con leggi come il jobs act o la riforma delle pensioni, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi demolire gli articoli della Costituzione sulla salute, privatizzandola e mettendola nelle mani del clero cattolico, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi demolire gli articoli della Costituzione sull’Unità della Nazione modificando il Titolo V e creando le premesse dell’autonomia differenziata, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi limitare la libertà di pensiero e la libertà di manifestare, emanare decreti “in materia di sicurezza” come i decreti Minniti, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi svilire la funzione sindacale genuflettendosi al clero, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi consentire che alla Presidenza di una Commissione ministeriale della Repubblica italiana possa essere nominato un ministro di una monarchia assoluta teocratica, come ha fatto il Ministro Speranza, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi modificare la scuola con leggi come la ‘buona scuola’, creando le premesse per una scuola classista che premia il merito e non l’inclusione, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi inserire una legge elettorale che mortifica il pluralismo e consente la rappresentanza solamente a chi è interprete di lobby economiche, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi comprimere ogni forma di autodeterminazione negandola in tema di diritti sessuali e riproduttivi, non ha senso.
I valori antifascisti sono stati calpestati da chi dichiarava di difenderli, sono stati vilipesi da chi si autoproclamava interprete dell’uguaglianza, della solidarietà, della democrazia, del pluralismo, della libertà di pensiero, e non stupisce che costoro non si siano mai proclamati interpreti del principio di laicità.
Costoro hanno creato un corto circuito, hanno destabilizzato certezze e riferimenti, e la risultante è sotto gli occhi di tutti perché la rappresentanza, con il favore di una legge elettorale pessima, è stata carpita da una minoranza pericolosissima che ha come obiettivo quello di dare il colpo di grazia ai valori antifascisti per affermare un modello di società che va in direzione contraria.
I valori antifascisti non possono essere recintati nell’alveo della storia, vanno oltre la contingenza storica, vanno oltre la dimensione nazionale, perché hanno in sé il valore della universalità e della perpetuità.
Ad onta della miseria intellettuale di chi tenta di sostenere che il fascismo sia finito nel 1945 e che gli eredi di quell’epoca debbano pacificarsi con chi lo ha combattuto, il fascismo non è stato affatto estirpato ma si è rimodulato, si è attualizzato e rivive una stagione nuova, con nuovi volti e con vecchie abitudini.
E in una strategia comunicativa che sconta, peraltro, una semplificazione populista, l’antifascismo viene depotenziato ogni volta che viene pronunciato da chi non lo ha tra i suoi valori.
I fascisti hanno un tale disordine morale interiore che inseguono ossessivamente le “regole” cui obbligare “gli altri” e mai loro stessi, convinti che siano gli altri a rendere pessima questa società e non vedono quanto marcio seminano.
La minoranza del Paese oggi ha la maggioranza parlamentare e occupa il Governo, perché le regole democratiche non sono perfette.
Ora che gli eredi e le eredi del fascismo hanno preso il potere, gli estimatori del cialtrone assassino vorrebbero far credere che gli italiani, in definitiva, siano sempre stati fascisti e che l’antifascismo è stata una mera parentesi storica sulla quale mettere una pietra tombale.
I Patti Lateranensi fascisti mantenuti nella nostra Costituzione danno conforto alle loro posizioni, le camicie nere e le camicie nere lunghe hanno sempre mantenuto affinità elettive.
E non è un caso che i post-fascisti sono al Governo nel momento in cui il clero cattolico è penetrato in tutti i gangli della società, legittimandoli e concorrendo alla loro ascesa.
Per Democrazia Atea il 25 Aprile non è solo lotta antifascista, è anche lotta anticlericale.
Il significato storico è quello che dà risposta al bisogno di certezze, nella coscienza di essere parte di una società improntata ai valori del Patto Fondativo Antifascista, ma anche nella adesione alla necessità di difendere quel Patto dagli attacchi, mai sopiti e mai risolti, di chi, per demolire i valori antifascisti, percorre la strada del revisionismo nel vigliacco tentativo di riscrivere la storia che è servita per affermarli.
Il revisionismo negazionista è sempre stato uno degli aspetti più subdoli utilizzati dai post-fascisti, per legittimare la loro esistenza, mentre la loro costante è sempre stata la violenza, verbale, fisica e istituzionale.
1830 inermi trucidati a Marzabotto, 580 inermi trucidati a Sant’Anna di Stazzema, 335 inermi trucidati nelle Fosse Ardeatine, l’omicidio di Giacomo Matteotti, sono la sintesi di vent’anni di dittatura che i post-fascisti oggi vogliono relegare ad un passato lontano, perché il fine sotteso è quello di proclamare una parificazione mascherata da pacificazione.
Il significato del 25 Aprile va ben oltre la ricorrenza storica, intesa come mera celebrazione di un evento passato, e proprio perché i post-fascisti non hanno mai ammesso di essere eredi di una dittatura criminale, questa ricorrenza ancora oggi è necessaria per ricordare che loro erano l’abominio.
Eppure la tendenza a contingentare il 25 Aprile in un alveo esclusivamente storico e celebrativo è stata da sempre la declinazione dell’antifascismo di facciata, dell’antifascismo di coloro che maggiormente lo hanno tradito fingendo di esserne paladini.
Dichiararsi antifascisti e poi demolire gli articoli della Costituzione sul lavoro e la tutela dei lavoratori con leggi come il jobs act o la riforma delle pensioni, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi demolire gli articoli della Costituzione sulla salute, privatizzandola e mettendola nelle mani del clero cattolico, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi demolire gli articoli della Costituzione sull’Unità della Nazione modificando il Titolo V e creando le premesse dell’autonomia differenziata, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi limitare la libertà di pensiero e la libertà di manifestare, emanare decreti “in materia di sicurezza” come i decreti Minniti, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi svilire la funzione sindacale genuflettendosi al clero, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi consentire che alla Presidenza di una Commissione ministeriale della Repubblica italiana possa essere nominato un ministro di una monarchia assoluta teocratica, come ha fatto il Ministro Speranza, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi modificare la scuola con leggi come la ‘buona scuola’, creando le premesse per una scuola classista che premia il merito e non l’inclusione, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi inserire una legge elettorale che mortifica il pluralismo e consente la rappresentanza solamente a chi è interprete di lobby economiche, non ha senso.
Dichiararsi antifascisti e poi comprimere ogni forma di autodeterminazione negandola in tema di diritti sessuali e riproduttivi, non ha senso.
I valori antifascisti sono stati calpestati da chi dichiarava di difenderli, sono stati vilipesi da chi si autoproclamava interprete dell’uguaglianza, della solidarietà, della democrazia, del pluralismo, della libertà di pensiero, e non stupisce che costoro non si siano mai proclamati interpreti del principio di laicità.
Costoro hanno creato un corto circuito, hanno destabilizzato certezze e riferimenti, e la risultante è sotto gli occhi di tutti perché la rappresentanza, con il favore di una legge elettorale pessima, è stata carpita da una minoranza pericolosissima che ha come obiettivo quello di dare il colpo di grazia ai valori antifascisti per affermare un modello di società che va in direzione contraria.
I valori antifascisti non possono essere recintati nell’alveo della storia, vanno oltre la contingenza storica, vanno oltre la dimensione nazionale, perché hanno in sé il valore della universalità e della perpetuità.
Ad onta della miseria intellettuale di chi tenta di sostenere che il fascismo sia finito nel 1945 e che gli eredi di quell’epoca debbano pacificarsi con chi lo ha combattuto, il fascismo non è stato affatto estirpato ma si è rimodulato, si è attualizzato e rivive una stagione nuova, con nuovi volti e con vecchie abitudini.
E in una strategia comunicativa che sconta, peraltro, una semplificazione populista, l’antifascismo viene depotenziato ogni volta che viene pronunciato da chi non lo ha tra i suoi valori.
I fascisti hanno un tale disordine morale interiore che inseguono ossessivamente le “regole” cui obbligare “gli altri” e mai loro stessi, convinti che siano gli altri a rendere pessima questa società e non vedono quanto marcio seminano.
La minoranza del Paese oggi ha la maggioranza parlamentare e occupa il Governo, perché le regole democratiche non sono perfette.
Ora che gli eredi e le eredi del fascismo hanno preso il potere, gli estimatori del cialtrone assassino vorrebbero far credere che gli italiani, in definitiva, siano sempre stati fascisti e che l’antifascismo è stata una mera parentesi storica sulla quale mettere una pietra tombale.
I Patti Lateranensi fascisti mantenuti nella nostra Costituzione danno conforto alle loro posizioni, le camicie nere e le camicie nere lunghe hanno sempre mantenuto affinità elettive.
E non è un caso che i post-fascisti sono al Governo nel momento in cui il clero cattolico è penetrato in tutti i gangli della società, legittimandoli e concorrendo alla loro ascesa.
Per Democrazia Atea il 25 Aprile non è solo lotta antifascista, è anche lotta anticlericale.